Trump sposta il mirino della NASA dalla Luna a Marte, un assist per SpaceX di Musk. Uno sgambetto a Blue Origin di Bezos?
Una NASA orientata verso Marte
La nomina alla guida della NASA del miliardario Jared Isaacman, vicino a Elon Musk, ha segnato un chiaro cambio di rotta. L’agenzia spaziale statunitense, che negli ultimi anni aveva puntato con decisione verso una nuova missione lunare, sembra ora intenzionata a puntare su Marte, riallineandosi con le ambizioni del cofondatore e capo di SpaceX, Tesla e Neuralink.
Isaacman, già partner di SpaceX nel programma Polaris e pioniere del volo spaziale commerciale, ha garantito davanti al Congresso la sua imparzialità. Ma le preoccupazioni su potenziali conflitti d’interesse non si sono placate. La proposta di bilancio della nuova amministrazione, che prevede un aumento di 1 miliardo per le missioni su Marte e un taglio del 24% ai fondi della NASA, è vista da molti come il preludio a una riorganizzazione delle priorità, a scapito del programma lunare Artemis, sostenuto da Blue Origin, società privatacreata da Jeff Bezos (già fondatore di Amazon).
SpaceX, il nuovo braccio operativo del governo
Elon Musk e la sua compagnia SpaceX hanno ormai conquistato una posizione dominante nel settore spaziale americano. SpaceX non solo ha vinto contratti federali per circa 25 miliardi di dollari negli ultimi undici anni, ma è diventata la prima scelta per i voli umani verso la Stazione Spaziale Internazionale e, sempre più, per le future esplorazioni planetarie.
L’approvazione politica ha seguito i successi tecnologici. Dopo aver espresso il proprio sostegno a Trump sui social media in seguito a un attentato fallito al presidente, Musk ha ulteriormente rafforzato la sua influenza a Washington. Gli insider politici parlano ormai apertamente di un “asse Trump-Musk” che condiziona le decisioni strategiche nel settore spaziale e delle telecomunicazioni.
Bezos in affanno: tra luna e burocrazia
Dall’altro lato della barricata, Jeff Bezos e Blue Origin sembrano arrancare. Nonostante un recente contratto da 2,4 miliardi con la Space Force per il lancio di satelliti militari e un appalto NASA da 3,4 miliardi per la costruzione di un lander lunare, la compagnia fatica a tenere il passo di SpaceX.
Il nuovo focus marziano rischia di mettere in discussione la rilevanza del lander lunare di Blue Origin, mentre le tensioni tra Bezos e Trump — acuite negli anni dal ruolo critico del Washington Post, di cui Bezos è proprietario — sembrano aver lasciato cicatrici profonde, si legge nell’articolo firmato da Spencer Soper and Matt Day su Bloomberg. Perfino gesti conciliatori recenti, come il ritiro del sostegno pubblico a Kamala Harris da parte del Post o la produzione di contenuti pro-Melania Trump da parte di Amazon, sono apparsi come tentativi tardivi di contenere i danni.
Nel frattempo, anche Project Kuiper, il progetto Amazon per creare una costellazione di satelliti internet in concorrenza con Starlink di SpaceX, si trova in una posizione delicata. Le nuove norme federali impongono il dispiegamento di oltre 1.600 satelliti entro luglio 2026 — una scadenza che lascia poco margine d’errore.
Una rivalità che si gioca sul cielo e sulla terra
Il confronto tra Musk e Bezos, iniziato due decenni fa come una sfida tra sognatori dello spazio, oggi è diventato una battaglia geopolitica ed economica. Se il primo gode del pieno supporto dell’amministrazione Trump e di un’impressionante capacità di esecuzione, il secondo è costretto a navigare tra tagli, ostilità politiche e un pubblico sempre più esigente.
Nelle stanze di Blue Origin si lavora per accelerare il programma New Glenn e ridurre i costi. Bezos, pur lontano dai riflettori, rimane impegnato quotidianamente nella guida strategica dell’azienda. Ma il terreno si è fatto scivoloso, e il rischio che l’America spaziale parli sempre più con l’accento di Musk è più reale che mai.
Bezos – Trump, un rapporto difficile
Alla base di questa tensione tra il Presidente Trump e Bezos c’è una lunga serie di frecciatine dirette ed indirette, se non di veri e propri scontri verbali, che durano da anni.
Uno dei motivi centrali della tensione è il Washington Post, di proprietà di Bezos dal 2013. Il quotidiano ha spesso pubblicato articoli critici nei confronti di Trump, soprattutto durante la sua prima presidenza. Trump ha reagito attaccando pubblicamente Bezos, definendolo un “fake news mogul” e accusandolo di usare il giornale come “strumento di propaganda politica”.
Questo scontro ha trasformato una competizione economica in una faida personale e mediatica, facendo di Bezos uno dei principali bersagli del presidente.
Durante il suo primo mandato e durante questo secondo, Trump ha inoltre criticato ripetutamente Amazon, sostenendo che l’azienda non pagasse abbastanza tasse e che stesse danneggiando i rivenditori tradizionali. Inoltre, ha accusato Amazon di approfittare del sistema postale americano, una retorica che ha alimentato i sospetti che ci fosse un accanimento politico contro Bezos.
Alcuni osservatori hanno ipotizzato che questi attacchi abbiano avuto riflessi anche su scelte amministrative, come l’annullamento del contratto cloud JEDI del Pentagono, originariamente assegnato a Microsoft ma oggetto di un contenzioso legale con Amazon.
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