Pirateria, Capitanio (Agcom): “Anche le Big Tech possono collaborare nella lotta all’illegalità online”. Il caso Cloudflare nel Regno Unito
Svolta Cloudflare in Gran Bretagna con il blocco di quasi 200 domini pirata
Il panorama della lotta alla pirateria online nel Regno Unito ha assistito a una svolta significativa con l’ingresso di un nuovo attore nel fronte del blocco dei siti: Cloudflare. Fino ad ora, le ingiunzioni di blocco, spesso denominate “no fault”, ricadevano principalmente sugli Internet service provider (ISP) tradizionali del Regno Unito, come BT, Virgin Media, Sky, TalkTalk, EE e Plusnet. Questi ISP hanno storicamente collaborato, rendendo il blocco un processo quasi non-adversarial.
Ora, tuttavia, la Motion Picture Association (MPA) ha ottenuto una nuova ondata di ingiunzioni che ha portato al blocco di quasi 200 domini pirata, e per la prima volta, Cloudflare sta giocando un ruolo attivo, come ha raccontato Andy Maxwell in un articolo per torrentfreak.com.
Per gli utenti del Regno Unito che tentano di accedere ai domini appena bloccati, Cloudflare ora visualizza la notifica di Errore 451: “Non disponibile per ragioni legali”. Questo codice di stato HTTP indica che l’accesso è stato limitato per motivi legali specifici del Regno Unito, a seguito di un ordine legale.
Questa è una novità sostanziale. Cloudflare, in passato, ha sempre sottolineato di non ospitare direttamente i contenuti e di conseguenza non essere nella posizione migliore per rimuoverli. L’azienda ha spesso cercato di opporsi a richieste di blocco, sostenendo che tali misure hanno un’efficacia limitata e che un sito può semplicemente smettere di usare la sua rete per aggirarle.
Tuttavia, Cloudflare ha anche dichiarato che può conformarsi a ordini validi se vengono rispettati “principi relativi alla proporzionalità, al giusto processo e alla trasparenza“.
Visto dall’Italia. Capitanio (Agcom): “Le big tech possono collaborare attivamente nel contrasto alla pirateria”
L’Italia è stato uno dei primi Paesi in Europa a dotarsi sia di una legge antipirateria efficace, sia di strumenti tecnologici avanzati per il blocco dei domini e degli indirizzi IP destinati alla diffusione di contenuti protetti da diritto d’autore senza autorizzazione, quindi in modalità pirata.
In particolare, la nuova legge fa in modo che il blocco avvenga entro trenta minuti dalla segnalazione del titolare per il tramite di una piattaforma tecnologica unica con funzionamento automatizzato chiamata Piracy Shield, gestita direttamente dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom).
“Per la prima volta nel Regno Unito, Cloudflare ha applicato ordini di blocco direttamente sulla propria CDN, su richiesta della Motion Picture Association (MPA). Un’azione che ha portato al blocco di oltre 200 domini legati alla pirateria audiovisiva”, ha scritto sui social il Commissario Agcom del nostro Paese, Massimiliano Capitanio.
“Una novità significativa, perché conferma che anche le big tech possono collaborare attivamente nel contrasto alla pirateria e dimostra che azioni tecniche complesse sono possibili, anche su infrastrutture globali come una CDN”, ha aggiunto il Commissario italiano.
“Anche Agcom ha da tempo avviato tentativi di dialogo, anche con una audizione formale, con la Cloudflare. Si chiede il rispetto delle leggi. In alternativa ci sono i provvedimenti”, ha ricordato Capitanio.
Gli atti di pirateria in Italia, secondo l’ultima indagine FAPAV/Ipsos, sono stati nel 2024 pari a 294,5 milioni e sono 73 milioni le fruizioni perse di film, serie/fiction e sport live, per un fatturato perso dalle imprese colpite pari a 778 milioni di euro.
Altri 350 milioni di euro sono il danno in termini di fatturato perso direttamente a causa della mancata fruizione legale di sport live piratati nel 2024 (+23% vs 2023), 2,2 miliardi di euro la stima del fatturato perso da tutti i settori economici italiani a causa della pirateria di film, serie/fiction, sport live (+10% vs 2023).
Circa 904 milioni di euro è il danno potenziale stimato sull’economia italiana in termini di PIL (+10% vs 2023).
Serve più trasparenza negli ordini di blocco
La questione della trasparenza in questi ordini di blocco rimane, però, un punto dolente. Non esiste un archivio centrale di ingiunzioni e non vi è alcun obbligo legale di condividerne i dettagli con il pubblico.
Cloudflare, nel suo messaggio di errore 451, fornisce un link al Lumen Database, un’iniziativa volta a migliorare la trasparenza pubblicando informazioni fornite da aziende come Google e Cloudflare stessa. Tuttavia, nel caso specifico di questi blocchi, il database non indica chi ha richiesto l’ordine di blocco né l’autorità che lo ha emesso. Dalle informazioni disponibili, si sa per esperienza che la richiesta è stata fatta dagli studi della Motion Picture Association e che l’Alta Corte di Londra è stata l’autorità emittente.
Inoltre, la data dell’avviso collegato da Cloudflare è il 22 febbraio 2024, ben oltre un anno fa, per un blocco che sembra essere entrato in vigore solo nei giorni scorsi. Questo suggerisce l’uso di ingiunzioni dinamiche, dove un elenco iniziale di domini può essere ampliato con altri domini “collegati” senza che i dettagli siano sempre resi pubblici. Sembra che uno degli ordini originali di riferimento sia stato ottenuto nel dicembre 2022, mirato a siti con marchi pirata noti come 123movies, fmovies, soap2day, hurawatch, sflix e onionplay.
Un altro aspetto curioso è che l’avviso a cui Cloudflare si collega, non la riguarda direttamente, ma era stato inviato a Google in precedenza, quando Google aveva accettato di rimuovere volontariamente tali domini dai suoi indici di ricerca in presenza di ordini giudiziari. Normalmente, gli avvisi inviati a Cloudflare vengono poi presentati al Lumen Database da Cloudflare stessa, cosa che in questo caso non sembra essere avvenuta.
L’efficacia del blocco Cloudflare, anche per le VPN
Quando si tratta di blocchi, Cloudflare di solito è più resistente quando le richieste riguardano il suo resolver DNS pubblico (1.1.1.1). Tuttavia, sembra che in questo caso stia impiegando il geo-blocking attraverso i suoi servizi di sicurezza e CDN.
Questo approccio è significativo perché potrebbe avere un impatto anche sugli utenti VPN. Normalmente, una VPN con un server nel Regno Unito aggirerebbe il blocco degli ISP. Ma con il geo-blocking di Cloudflare, gli utenti che tentano di accedere ai domini bloccati utilizzando un server VPN nel Regno Unito si troveranno comunque di fronte al messaggio di errore 451 di Cloudflare.
Pirateria e cybersecurity, una minaccia spesso dimenticata
Dall’analisi dei nuovi domini bloccati, emerge che molti di essi figurano in più ordini di blocco. Sebbene non sia possibile verificare immediatamente tutti i 200 domini, la portata potenziale potrebbe estendersi a centinaia o persino migliaia di domini.
Va notato che, per quanto si è potuto determinare, i domini bloccati dagli ISP tradizionali (come Sky) e dalla BPI (British Phonographic Industry) non sembrano essere influenzati da questo nuovo intervento di Cloudflare.
I siti colpiti dall’MPA, e ora da Cloudflare, sono spesso quelli che attivano gravi avvisi di malware al momento della visita o poco dopo. Questo suggerisce che, almeno nel breve termine, il blocco di Cloudflare potrebbe avere anche un effetto positivo sulla sicurezza degli utenti.
In definitiva, l’ingresso di Cloudflare nel blocco dei siti pirata nel Regno Unito segna un’evoluzione significativa nella lotta contro la pirateria online. Resta da vedere come questa nuova strategia influenzerà il panorama complessivo, sia in termini di accesso ai contenuti illegali, sia di trasparenza e libertà di internet.
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