La partecipazione dei lavoratori all’impresa è legge. “Oltre” il conflitto capitale-lavoro?
La partecipazione economico- finanziaria e consultiva dei lavoratori anche in Italia è legge e dunque possono diventare soci, seppure minoritari. E’ una buona cosa perché dà la possibilità di partecipare al rischio d’impresa sottoforma di una componente variabile della remunerazione che si aggiunge a quella fissa, seppure con un limite del 10% nella distribuzione degli utili.
Dunque, non solo un incentivo sui risultati positivi come premio di produttività, ma una partecipazione al capitale favorita da una agevolazione fiscale del 5% fino ad un massimo di 5mila euro per singolo lavoratore. I lavoratori possono diventare shareholders seppure per una quota limitata. Un passaggio storico che seguendo anche l’esempio tedesco e di altri paesi europei in particolare con la Mitbestimmung – si potrebbe dire – porta i lavoratori nei board delle imprese e nella stanza dei bottoni dove si prendono le decisioni strategiche.
Un esito per ora poco più che simbolico ma di grande rilievo. Infatti, le condizioni economiche coinvolte vedono quote ancora marginali ma è importante il principio di fondo sulla lunga strada che porta al ” superamento” del conflitto capitale-lavoro nel passaggio strategico dal capitalismo fossile, materiale e lineare verso il capitalismo della conoscenza e dell’immateriale in chiave circolare e che accresce i fattori di rischiosità dell’impresa e che per questo impone modelli più partecipativi.
E’ infatti in questo “capitalismo cognitivo” e della convergenza tra transizione digitale e della sostenibilità che i livelli di rischio di lungo periodo si allargano e servono allora nuove fonti di finanziamento e nuovi soggetti che apportano capitale di rischio vista l’insufficienza dovuta ai tradizionali conferenti quelle fonti di capitale da parte di imprenditori e/o manager.
Una architettura di partecipazione aziendale che sarà rinforzata da “commissioni paritetiche” per governare l’organizzazione del lavoro, orari e flessibilità per fare convergere interessi dei lavoratori e aziendali all’interno e – all’esterno -con le reti di appartenenza e l’ambiente. Un impianto che nel complesso avrà dunque connessioni stringenti con programmi di welfare aziendale con effetti anche sulla comunità e l’ambiente oltre che sul benessere dei lavoratori.
Traiettorie di trasformazione che dovranno essere “monitorate” da apposita commissione nazionale presso il CNEL per aggiornare e correggere o integrare l’intero pacchetto legislativo. Certo si poteva fare di più ma è un passo avanti verso modelli partecipativi che va sostenuto e possibilmente allargato e migliorato. Sorprende che solo la CISL l’abbia sostenuto tra i sindacati ma accolto con moderazione anche nel PD.
Perchè servirà tempo per una apertura culturale utile ad accogliere questa svolta epocale, che è anche organizzativa, di rete e di capitale sociale e reputazionale che farà bene all’economia e all’ambiente oltre che all’intelligenza strategica delle imprese e alla natura del lavoro (verso capacitazione) e alle forme di superamento (in parte) della condizione di “subordinazione”.
Si prova ad avviare – pur timidamente – ad attuazione l’art.46 della Costituzione : “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende“. Alle economie e società capitalistiche serve la partecipazione allargata al rischio d’impresa anche dei lavoratori come apporto di competenze e intelligence collettiva verso la resilienza e consilienza per adattarsi a condizioni post globali.
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